Carlo e Licia

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domenica 13 gennaio 2019

Classe politica e classe culturale.

Questa riflessione di Alberto Moravia (1907-1990), pubblicata in “Cinema Nuovo” (n.15, ottobre 1953), nota rivista orientata a sinistra e diretta da Guido Aristarco, è tutt'ora di “sinistra” attualità, stante il presente politico e sociale della nostra Italia, sempre in bilico di regredire alla “espressione geografica” che fu fino al 1861 dal 476 d.C.
Da notare che nel 1953, pur vigendo ancora una pesante atmosfera clericale piuttosto oscurantista, lo scrittore – già considerato il più famoso del Paese – depreca la situazione presente ma non è allarmato per l'immediato futuro degli intellettuali (definiti dal Ministro degli Interni del periodo, Scelba, “culturame”). Oggi però analizzando il presente rapporto tra politica e cultura, sono da temere concretamente tempi illiberali, con la libertà e l'incolumità di ciascuna persona implicata in pericolo, tutelata – alla fin fine – soltanto dall'essere l'Italia ancora ancorata all'Europa. In altre parole il regime incombente per ora si contenta (non dico è costretto perché non ha oppositori moralmente convinti dei valori che predicavano né tantomeno di quelli distinguibili, perché troppi esponenti sono intimamente quinte colonne, traditori) di una pericolosa pagliacciata alla Orban d'Ungheria. Regime il giallo-verde per altro e purtroppo non lontano dall'evolversi pericolosamente in “demokratura” e quindi in vera e propria dittatura senza i vincoli e i controlli dell'Europa.
Sul piano della nostra famiglia è curioso il fatto che Alberto Moravia, malato di tubercolosi, si curò nello stesso sanatorio di Bressanone dove fu ricoverata Silvia Domazetovich Collobi, madre di Licia, che arrivò in Trentino per terminarvi il Liceo Classico e assisterla poco dopo la dimissione dello scrittore.
Negli anni Trenta Moravia viaggiò per il mondo (tanto che la sua presenza abbastanza continuativa a Roma non avvenne prima dell'ultimo triennio).
Perciò la sua accertata conoscenza di Carlo L. Ragghianti, si sviluppò soprattutto tra la fine del 1937 e il 1938. Il loro saltuario rapporto fu allora ed è sempre stato freddo, distante e francamente antipatizzante 
nonostante avessero amici e conoscenze intellettuali e politiche, esponenti della clandestinità in comune, come i fratelli Carlo e Nello Rosselli, cugini di Moravia. Anche il rapporto con Elsa Morante, che C.L.R. conobbe evidentemente prima e che stimava ed ammirava. Ricordo che il babbo ci ha sempre detto che lei era scrittrice di talento assai superiore al di poi marito; rammento anche che ci magnificava l'Isola di Arturo, incitandomi a quella lettura. Moravia comunque conobbe Elsa soltanto nel 1936 e la sposò nel 1941. Ovviamente non voglio insinuare che tra C.L.R. e la giovane scrittrice ci fosse un qualche rapporto altre al fatto di avere amici e conoscenti in comune. Faccio questa osservazione, che confermo, ma che potrebbe essere presa per una excusatio non petita, dato che prima del matrimonio con mia madre Ragghianti era notoriamente piuttosto intraprendente – anche se i testimoni non ci sono più – nei confronti del gentil sesso.
Moravia patì l'ostracismo del regime fascista soprattutto perché considerato una sorta di decadente la cui opera era priva di valori fascisti (difatti Gli Indifferenti sono davvero quasi insopportabili per il clima borghese declinante). Per dirla con un critico assai fine e penetrante, Geno Pampaloni, ne Gli Indifferenti “il timbro essenziale di questo libro è un implacabile rigorismo morale … Il suo vero tema non è tanto la corruzione di una società, quanto l'impotenza morale che ne è, più ancora che causa, effetto … Da un capo all'altro della vicenda incalza il peccato come un'immagine di morte...”. Lo scrittore romano non fu perseguitato come ebreo dopo le leggi razziali del 1938 perché sua madre Teresa de Marsanich era una cattolica dalmata la cui famiglia fu “fascistissima” prima e dopo la guerra.
Già prima della morte la fama di Alberto Moravia era declinata e nell'attuale imbarbarimento mi sembra sia stato bellamente dimenticato. Sorte inversa alla “rivincita” del suo caro amico Pier Paolo Pasolini, di cui vedo esser ancora presente il ricordo, più come “moralista” (si fa per dire, perché certe parole hanno margini di ambiguità anche notevoli) che come scrittore, poeta e regista.
F.R. (14 ottobre 2018)


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