1. Censura d'attualità
Sono
già diversi anni che la comunità internazionale attiva sul web e
sui social si è indignata contro la decisione da parte del colosso
mediatico Facebook di applicare una politica di censura sulle
immagini che è permesso ai privati di pubblicare sui propri profili
Facebook.
Nel
regolamento infatti sono espressamente riportati le tipologie di
contenuti non ammessi sulla piattaforma social: tra i contenuti
violenti, autolesionisti e di istigazione all'odio e le minacce e
attacchi verso terzi, troviamo anche la dicitura “Nudità o altri
contenuti sessualmente espliciti”.
Niente
da dire sull'attenzione da parte del team di Facebook a limitare
l'accesso o il fortuito capitare di giovani e anche giovanissimi su
immagini e altro tipo di contenuti pornografici, erotici o
sessualmente espliciti. Il problema e l'ondata di critiche e
sostenuto dissenso si è però scatenata quando una serie di casi al
limite del ridicolo ha reso noto alla comunità di utenti di Facebook
che questo stesso algoritmo, usato per determinare quali immagini o
post contravvengano alle linee guida del regolamento e quindi siano
da censurare, viene anche applicato al nudo artistico. Numerose opere
d'arte di interesse, pregio storico e artistico internazionale sono
state colpite da questa indiscriminata e bigotta pratica di forzato
silenzio: alcuni esempi sono le sculture di Antonio Canova, la
Sirenetta di Copenhagen, i nudi di Tiepolo o di Modigliani,
addirittura la foto artistica della piccola Kim Phuc che correva nuda
per scampare all'attacco al Napalm durante la Guerra del Vietnam.
Testimonianze
artistiche, storiche, sociali importanti e che non hanno
assolutamente sfondo sessuale o erotico, se non forse
nell'inevitabile mente malata di qualcuno psicologicamente
disturbato. E' disarmante la totale superficialità con cui viene
portato avanti questo processo, organizzato per essere incapace di
valutare la natura e l'intento espressivo di quella particolare
rappresentazione di nudità: dovrà pur esserci una differenza tra il
modo in cui guardiamo una foto pornografica fine a sé stessa ed il
David di Michelangelo o immagini che testimoniano le atrocità
compiute in zone di guerra e che capitano di mostrare qualcuno
svestito! Questa assurda decapitazione di riproduzioni e foto
artistiche sul sito di Facebook viene operata da un team di
moderatori sparsi per il mondo che lavorano per segnalazione, spesso
censurando preventivamente l'immagine non appena qualche utente
(ignorante, bigotto, mancante evidentemente della sensibilità non
solo artistica ma anche umana di comprendere il messaggio che sta
dietro all'opera di nudo in quanto tale) decide di manifestare la
propria ottusità segnalandola come inappropriata, oscurando quindi
il post e spesso “punendo” anche l'utente responsabile della
pubblicazione con blocchi temporanei del profilo (una sorta di esilio
a tempo dal social media) senza controllare la legittimità della
segnalazione se non in un secondo momento, ripristinando
eventualmente il post qualora
venga trovata infondata. Nel
caso della celebre foto già citata, manifesto della brutalità della
guerra del Vietnam negli anni Sessanta e Settanta, dopo moltissimi
reclami il team di Facebook ha deciso di ripristinare il post ed il
profilo del giornalista norvegese che l'aveva pubblicata, con queste
parole:
“Un'immagine di un bambino nudo – c'è scritto –
normalmente, violerebbe i nostri community standard, e in alcuni
Paesi potrebbe addirittura essere considerata un'immagine
pedopornografica. In questo caso, riconosciamo la storia e
l'importanza globale di questa immagine nel documentare un
particolare momento storico. Grazie al suo status di immagine iconica
di importanza storica, il valore della sua condivisione supera il
valore della protezione sociale attraverso la rimozione, quindi
abbiamo deciso di ripristinare l'immagine su Fb ”.
E'
vero che in quanto piattaforma privata di proprietà di Mark
Zukerberg hanno effettivamente il diritto legale di stabilire le
proprie linee guida ed il proprio regolamento interno –
consultabile sul sito stesso, ma piuttosto approssimativo nelle
spiegazioni – e che gli utenti che decidono di iscriversi e creare
un profilo su Facebook sono tenuti ad informarsene e, qualora non
siano d'accordo, hanno la scelta a loro disposizione se rimanere o
meno tra i milioni di persone che danno potere e allargano non solo
le casse ma anche i tentacoli di influenza del gigante americano.
Tuttavia,
ognuno di noi ha l'incontrovertibile libertà di esprimere il proprio
disaccordo qualora fenomeni di questo tipo mettono a serio rischio la
capacità soprattutto delle nuove generazioni – che vi incentrano
purtroppo gran parte della loro vita e che le elevano a fonti da cui
imparare i propri valori, le proprie convinzioni ed interessi – di
sviluppare la sensibilità che permette di andare a fondo, di vedere
non solo il capezzolo sullo schermo ma di comprendere che la
differenza sta nel valore aggiunto, nel messaggio, nella storicità,
nell'espressione del talento e della creatività artistica che rende
la specie umana così unica...e che non tutto è solo e morbosamente
incentrato sulla sessualità fine a sé stessa.
Perché
invece non lasciare che si continui ad ammirare l'ingegno umano
dimostrato nelle varie forme d'arte che si sono susseguite nei
secoli...e magari dare maggior importanza alla censura di pagine
private e gruppi facebook che inneggiano all'odio razziale, alla
violenza verso chi è diverso o semplicemente non va a genio a
qualche imbecille limitato, ai ragazzi incitati al suicidio, alle
forme di espressione di ideali fascisti e nazisti e all'intolleranza
tra esseri umani? Perché tutelare e andar cauti nei confronti della
loro libertà di espressione...e non di quella dei grandi artisti del
passato e del presente che ci hanno insegnato che qualcosa di buono
effettivamente l'uomo la può anche creare?
Irene Marziali Francis (28 ottobre 2019)
2. Ragghianti, la censura e il caso "Non uccidere" di Autant Lara.
In
questo momento quello della censura non sembra argomento di
particolare attualità in Italia, salvo che nell'aspetto direi
permanente di autocensura costantemente esercitato nei media
da giornalisti embedded o da quanti altri hanno a che fare con
la preparazione e la diffusione delle notizie (di ogni genere).
D'altro canto la censura è uno dei pericoli incombenti sulla
democrazia perché essa è aggressivamente sostenuta da un ceto
politico autoreferenziale che da sempre va progettando soluzioni di
censura preventiva sulle acquisizioni di notizie di giustizia
(intercettazioni telefoniche, specialmente) in modo da rendere
l'opinione pubblica ignorante di qualsiasi informazione accertata e
non facilmente manipolabile.
Carlo
L. Ragghianti è stato poco coinvolto in prima persona, che io
sappia, su problemi attinenti direttamente la censura, contro
la quale - è bene ricordarlo – aveva svolto una intensa attività
durante la sua clandestinità (costituita da lettere e da
dattiloscritti battuti in più copie di programmi, notizie
dall'estero, propaganda specifica, ecc.) dagli anni universitari alla
liberazione dalla occupazione tedesca e del suo regime “Quisling”
fascista al Nord e al Centro del Paese (1930-1945).
Nel
1957 C.L.R. recensì il volume The Freedom to Read, Perspective
and Program (in: “Criterio”
n.8/9, 1957, pp. 723-725). Si trattava di un “rapporto”,
indirizzato alle istituzioni pubblicistiche e alle biblioteche degli
U.S.A., concernente lo stato dello sviluppo in azioni (di origine
politica e religiosa soprattutto) tendenti a limitare la libertà di
leggere.
Nel
1961 si verificò una virulenta campagna clerico-fascista (un anno
dopo Tambroni, Genova e Reggio Emilia) contro la diffusione nei
cinema del film Non uccidere di
Claude Autant-Lara. Proiettata alla Mostra del Cinema di Venezia, la
circolazione della pellicola fu proibita dalla Commissione di Censura
in Italia (in Francia pure, stante l'agonia della guerra di
indipendenza dell'Algeria, fino al 1963) a causa dell'argomento del
film: l'obiezione di coscienza al servizio militare di leva, per la
quale – ricordo – che allora ancora i Testimoni di Geova, per
es., venivano tutti incarcerati
per anni a Gaeta!
A
questo proposito Ragghianti presiedette un dibattito tenuto con una
affollata ed appassionata partecipazione di giovani (in prevalenza
studenti ma anche operai e lavoratori) alla storica Casa del Popolo
di Rifredi, di cui riproduco l'invito a stampa. In questa
manifestazione il film fu soltanto un punto di partenza per
stigmatizzare politicamente la persecuzione e pretendere il
riconoscimento giuridico all'obiezione.
In
relazione a questa censura
la rivista “Il Ponte” organizzò una inchiesta curata da
Fernaldo Di Gianmatteo il quale l'11 ottobre '61 scrive a R. che:
“gli farebbe molto piacere ricevere anche la sua risposta, tra
tutte particolarmente autorevole e meditata....su “Censura e
spettacolo in Italia”. Così a critici e studiosi fu inviato un
questionario, che riproduciamo, le cui risposte sarebbero state
pubblicate nella rivista: quelle di C.L.R. furono tre fitte pagine di
osservazioni e commenti. Ignoro se il testo di C.L. Ragghianti fu o
come fu pubblicato da quella rivista che non seguivo ritenendola
settaria. Di conseguenza, a chi può interessare, penso che non sarà
difficile una verifica data la diffusione dell'organo.
Leggendo le risposte al Questionario di Ragghianti si ha subito l'impressione che in questo testo vengano
considerati e approfonditi argomenti successivamente sviluppati in Traversata di un trentennio (1979; vedere nel blog i post della ristampa del libro dal 31 novembre 2017 al 13 agosto 2018). Soprattutto alcuni punti anticipano la dimostrazione nel libro che
alcune parti della nostra Costituzione non sono state attuate né nel
1961, né nel 1979, né – purtroppo – lo sono tuttora.
Disgraziatamente in tutte le proposte di revisione costituzionale fin
qui presentate – oltre alle autentiche aberrazioni e palesi
involuzioni democratiche renziane respinte con referendum popolare –
gli articoli inattuati rimangono tali o non sono considerati coerenti
con la struttura del futuro Stato ipotizzato dopo l'esperienza
fascista. Importante è poi la risposta al punto (2), con le debite
distinzioni tra il piano strettamente giuridico e quello prassista
del “comune sentimento morale”. Particolarmente importante mi
sembra il penultimo paragrafo della lettera che dimostra perché la
censura “è, sempre,
una vergogna e una sciocchezza”.
Collego
a queste poche notizie ragghiantiane sull'argomento il saggio Critica
e censura (“Critica d'Arte”,
n. 64, sett.-ott. 1964) di Vittorio Stella un “filosofo” crociano
con cui C.L.R. ritengo ha, mi vien da dire invano, tentato di
ottenere per “Critica d'Arte” e altre opportunità culturali come
l'U.I.A. di Firenze collaborazioni e interventi depurati del “gergo”
filosofico, perciò leggibili e comprensibili anche da parte delle
persone colte non specialiste. In questo caso si svolge
essenzialmente una polemica con Rosario Assunto, anch'egli filosofo
professionista, sempre con riferimenti all'inchiesta de “Il Ponte”.
Non solo perché ovviamente lo scritto è stato pubblicato con
l'approvazione di C.L.R., ritengo che esso abbia valida relazione con
l'argomento e importanza non solo documentaria ma formativa anche
oggi perché si dibatte sul concetto che la questione della censura
è essenzialmente un problema di libertà, un problema etico. Devo
però ammettere che quando lo lessi feci una certa fatica perché
rallentato dal linguaggio esoterico per specialisti, i quali si
eccitano con parole come axiologia,
invece di pensare al lettore utente e dire semplicemente “filosofia
dei valori, divisibile in due rami: etica ed estetica”. Purtroppo
anche C.L.R. talvolta non è esente da questa pratica quando – ad
es. - proprio nella sua lettera sulla censura nella penultima riga
spara pornopsia
(sembrerebbe un neologismo!) forse perché un po' seccato di essere
costretto per dovere civico a collaborare con una testata di cui non
apprezzava alcuni importanti collaboratori.
Quello dell'abuso del linguaggio
specialistico diviene vizio, e quindi colpa, con ricadute sociali non
indifferenti ma gravi perché ha portato una buona parte dei lettori
di oggi (ognuno dei quali in democrazia ha diritto di voto) a
disprezzare i “professoroni”, facendo il gioco dei mestatori che
inducono i cittadini a cadere nelle fauci spalancate dei demagoghi
salvinei. Certo ha ragione Benedetto Croce a sostenere che concetti
complicati non si possono esprimere in “parole povere”. Però non
si debbono nemmeno esprimere in termini iniziatici, esclusivi,
castali. Altrimenti – se ben ricordo lo scrive anche Gramsci –
quale sia l'organizzazione sociale umana, la reazione sarà di
brutale semplificazione... a danno di quegli “intellettuali”
scollegati da parte di coloro che non possono essere intellettuali,
né detentori del sapere perché esso è stato reso
incomprensibile alla massa, per la quale si dovrebbe invece
tramitarlo in termini intelleggibili al fine della sua partecipazione
alla gestione del bene comune.
F.R. (24 giugno 2019)