Carlo e Licia

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venerdì 12 ottobre 2018

Letture non professionali di Licia Collobi - Damon Runyon.


Alfred Damon Runyon (1880-1946) è stato un giornalista di cronaca, divenuto celebre negli Stati Uniti per il suo umorismo e la chiave molto personale e avvincente con cui riferiva gli avvenimenti. Successivamente divenne sceneggiatore e scrittore satirico, brillante e gergale con una decisa connotazione spiritosa ed originale. Dei suoi numerosi racconti di difficile traslazione e di conseguenza poco noti in Italia prima e dopo la guerra – e tuttora ignorati – in Archivio ho scovato questo Sapersi spogliare, racconto che riprendo da “L'Europeo” – fondato e diretto da Arrigo Benedetti, un lucchese amico e conterraneo di C.L. Ragghianti – pubblicato l'11 agosto 1946, quattro mesi prima della morte dello scrittore.
Questo raro racconto lo voglio dedicare al ricordo – che temo d'avere ancora soltanto io, se non altro per ragioni anagrafiche – della spensierata allegria che la lettura di Damon Runyon suscitava in nostra madre Licia. Questa sua gradevole scoperta letteraria era anche la conseguenza, per quel che posso ricordare, della lunga frequentazione di quel lazzerone (politicamente parlando) di Wodehouse, di Jerome K. Jerome e altri scrittori prevalentemente anglosassoni. Anche di questi autori la mamma ci fece ampie letture e resoconti riassuntivi e, siccome erano tradotti nella nostra bella lingua, almeno a Rosetta e a me – più tardi ad Anna – attaccò il virus della loro lettura (e qualche volta nel tempo rilettura).


Nei primi anni dopo la guerra, ed anche saltuariamente dopo, quando a Rosetta e a me si unì il comprendonio del terzo fratello (n. 1946) la mamma ci intratteneva qualche volta per divertirci – e tenerci uniti e calmi al contempo – con racconti parafrasati delle storie amene scritte da Damon Runyon. Naturalmente lei aveva letto nella lingua originale queste short stories, rigorosamente intrise di slang americano, nelle edizioni disponibili nella benemerita Biblioteca circolante del Gabinetto Vieusseux, allora ancora al pian terreno e nelle cantine di Palazzo Strozzi. Poi ce li adattava con molta inventiva – pensandoci ora – ad una lingua o italiantriestina o “firenziggiante” del Goldoni in veneziano, che conosceva a menadito fin dall'infanzia, con effetti degni del successivo Grammelot di Dario Fo. Me ne resi conto quando più tardi (c.1960) di questo scrittore lessi in italiano Bulli e pupe, praticamente l'unico suo libro tradotto in italiano soltanto nel 1956 da Longanesi, sulla scia del clamoroso successo dell'omonimo film diretto da Joseph Mankiewicz e interpretato da Marlon Brando, Joan Simmons e Frank Sinatra. Allora noi eravamo grandicelli: io ero in quinta ginnasio e odiavo Marlon Brando perché le mie compagne di classe idolatravano quella specie di bodda in fieri.
Perciò non vidi il film e il libro nella mia bulimia lettoriale francamente veniva ben dopo i Miserabili, Guerra e Pace e gli altri classici che divoravo. La mamma poi allora palesava altre letture predilette riposanti, dai giallo-neri della Série Noire di Gallimard (interesse in comune con C.L.R. e con Roberto Longhi o Anna Banti o entrambi), ai gialli Longanesi, Garzanti e Mondadori, al proto femminismo (con qualche partecipazione quello di Simone De Beauvfoir, mentre detestava Mary McCarthy, che aveva conosciuto di persona), a Tobino e altri amici di famiglia scrittori talvolta prolifici, i suoi poeti rivisitati e nuovi (vedere post dell'8 maggio 2017) o quant'altro riusciva a inglobare nella sua memoria piuttosto eccezionale alle altre letture – accurate – professionali per i suoi studi specialistici e i saggi e le recensioni per “SeleArte”. La televisione non l'avevamo per scelta genitoriale e fu adottata soltanto nel 1964 (dopo l'omicidio di J.F.K.), quando con la scusa della piccola Anna (n.1956) che si sentiva emarginata dai coetanei e delle Olimpiadi di Tokyo che “interessavano i ragazzi”, il “cinema” in casa fu accettato e accolto.
F.R. (3 settembre 2018)




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